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Un Sogno - Capitolo 9

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L’aria

La sensazione di libertà

Il peso di ciò che me l’aveva donata.

“Come ti è venuto in mente di buttarti così?” strepitò Giulia mentre si avvicinava rapidamente verso di me.
Non era opportuno rivelarle cosa avevo pensato mentre saltavo. Mi limitai a rallentare per avvicinarmi. Non fu una buona idea. Appena arrivato sopra di lei mi diede un pugno in pieno volto.

“Potevi morire idiota! Volevi forse morire?!”

“Forse lo volevo, non pensi?” sibilai a denti stretti, premendo il palmo della mano contro la guancia dove mi aveva colpito.

“Cosa hai detto?”

“Niente”

“Meglio per te. Dobbiamo dirigerci alla Stazione Centrale. Lì ci aspetta Micheal Salviati, direttore del Consiglio di Sicurezza Mondiale. Farai meglio a darti una mossa se non vorrai avere subito note di demerito e chissà cos’altro.”

Così ci mettemmo di buona lena a volare per i palazzi del centro. Dopo alcuni minuti capì dove mi trovavo. Ero proprio a Bari, riconoscevo Via Sparano e i suoi negozi, le panchine dismesse, il traffico invadente. Era proprio Bari. Scivolammo via silenziosi e veloci in mezzo ai palazzi della via principale, scorti dagli abitanti che sotto di noi alzavano gli sguardi e si meravigliavano di vederci. Mi pareva normale, visto quello che eravamo. Sorvolammo il parco davanti alla stazione e ci stavamo accingendo a planare davanti all’ingresso principale, quando con un poderoso battito d’ali Rocco e Giulia virarono repentinamente verso destra, lasciandomi un po’ spiazzato, ma subito mi portai nuovamente in formazione. Atterrammo al limite del marciapiede del primo binario.
Camminavamo lentamente, e tutte le persone che osservavamo si mettevano sull’attenti. Arrivammo davanti ad una specie di terminale per l’identificazione, e passò davanti ad un lettore una scheda. Camminavamo dentro uno scenario irreale. Chiunque incontrassimo era fermo, immobile, come se noi fossimo gli unici autorizzati a passare di lì. Ma il peggio doveva venire.
C’erano parecchie porte che davano a delle stanze adibite a magazzini. Ebbi la curiosità di guardare dentro una di quelle, tanto le porte erano tutte aperte. Non l’avessi mai fatto. Sedute su delle panche ed intente a mangiare c’erano molte donne, tutte rasate a zero, grasse, flaccide, e tutte indossavano una veste senza maniche blu a pois bianchi. In ogni camera c’era la stessa identica scena. Era orribile. Qualcosa mi disse che erano le madri dei soldati. Perché stavano lì? Guardandole stavo male. C’era qualcosa di incredibilmente malinconico e raccapricciante allo stesso tempo in quelle donne. Tutte intente a mangiare da delle gavette. Tutte uguali. Stavo veramente male. Eravamo arrivati davanti agli ingressi interni della stazione, quando vidi una donna simile alle altre, ma senza la parte inferiore del corpo.
La donna era come incastrata in un contenitore metallico, da cui uscivano due ruote ad entrambi i lati, e alcune protuberanze nella parte posteriore. Sembrava apatica, fissava il suolo senza proferire alcuna parola. Se già di per se la situazione era assurda Giulia si avvicinò alla donna e le diede un bacio sulle guancia stanche ed avvizzite.
“E’ sua madre.” mi disse Rocco a bassa voce.
Rimasi a guardare quella scena per un tempo indefinito. Ancora oggi non mi ricordo quanto stetti lì. Vedevo una Giulia diversa da quella che avevo conosciuto. Sembrava affettuosa, dolce. Accarezzava la madre con una delicatezza toccante. Ma ad un certo punto sentì qualcosa.

"Ci incontreremo là, dove non c'è tenebra."

Mi girai convulso. Chi aveva parlato? Chi aveva detto quelle parole? Ero agitato. Quella frase mi aveva scatenato dolorosi ricordi, e fatto ri-acquisire la consapevolezza di cosa ero diventato. Improvvisamente lo scorsi. Non so perché, ma il suo volto era già impresso nella mia memoria, anche se io non l’avevo mai visto prima, neanche nella sala interrogatori, dove la faccia era coperta dall’ombra. Diedi un colpo ali vigoroso e mi portai velocemente quattro piattaforme più in là, dov’e c’era il mio bersaglio. Atterrai violentemente, e senza perdere tempo lo afferrai per il colletto della camicia.
“TU!” gli urlai, guardandolo dritto negli occhi. L’uomo sorrise. Sorrideva? SORRIDEVA? Come poteva solo osare ridermi in faccia dopo tutto quello che mi aveva fatto? Non sembrava nemmeno curarsi tanto del fatto che era sollevato da terra. Continuava a sorridermi, e a guardarmi con i suoi occhi color ghiaccio.
“Ti stavo aspettando.”
Mi guardai intorno. C’erano i miei amici. Vincenzo, Valentina... c’erano i miei migliori amici della classe, e alcuni del gruppo scout di cui facevo parte prima che li abolissero.
“Chi sei?” chiesi, lasciando la presa.

“Sono Micheal Salviati, Presidente del Consiglio di Sicurezza. Chiamami pure Mike se vuoi”
rispose sempre con quel sorrisino irritante.

“Ma tu ti rendi conto di cosa mi hai fatto? Mi hai trasformato in un mostro, non potrò mai più essere quello che ero prima, tutti i miei progetti di vita sono stati spazzati via! Ti rendi conto che mi hai tolto la giovinezza?! MI HAI NEGATO IL FUTURO! Non potrò più stare insieme ai miei amici, non potrò più fare ciò che facevo una volta, non sono più libero! E nonostante ciò non verrò meno al mio nuovo dovere, che TU, mi hai imposto. TI RENDI CONTO DI TUTTO CIO;?! RISPONDI!

“Ora la cosa più importante è che tu adempia il tuo dovere. I tuoi amici sono qui ora. Passa del tempo con loro finché puoi. Domani dovrai essere in Bangladesh per dei disordini da domare. Goditi questi istanti finché li hai. Non pensare a nient’altro. Ora il tuo posto è qui. Per sempre”.

Se ne andò voltandomi le spalle.
Eccoci al fulcro della narrazione. Secondo voi sono giuste le ragioni del nostro povero protagonista? Gli è stato negato il futuro, eppure deve adempiere il suo dovere. Voi cosa ne pensate? Siete dalla parte di chi approva che lui sia leale al dovere, o doveva essere leale a se stesso? E se in realtà la sua lealtà fosse proprio una parte di lui?
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